Negli anni precedenti, la quasi totalità delle Regioni, laddove chiamate a legiferare sul benessere animale, lo hanno fatto sull’Allevamento Ordinario/Commerciale richiamando i parametri della Legge 23 agosto 1993, n. 349 e di conseguenza lasciando fuori tutto ciò che non era ritenuto “Commerciale” e che veniva identificato con un numero di fattrici uguale o inferiore a 5 ed un numero di cuccioli uguale o inferiore a 30.
La definizione di Allevamento Amatoriale (spuntata dal nulla e inventata) diventava, con molta fantasia, il riferimento per tutto ciò che si ritiene non a fini commerciali e che, per effetto delle normative precedentemente citate, non rientra nei vincoli imposti dalle norme Sanitarie (tullss – Industria Insalubre). Di contro, la necessità di evitare tali prescrizioni (onerose - spesso irrealizzabili - in contrasto con il benessere etologico del cane), hanno indotto la maggior parte degli Allevamenti a proteggersi nell'ambito della classificazione "Amatoriale", pur svolgendo, di fatto, attività non occasionale, e quindi commerciale, detenendo un numero di soggetti ben superiori a quelli previsti dalle normative. Inoltre, e cosa più incomprensibile, ci si è convinti che il non avere finalità commerciali, assolvesse dagli obblighi fiscali, che diversamente sono regolamentati dal Testo Unico sulle Imposte che disciplina la tassazione dei redditi di qualunque tipologia di contribuente.
Infatti, non è la classificazione di allevamento amatoriale a determinare l’esenzione dall’obbligo di P.IVA e degli obblighi conseguenti (Iscrizione al registro delle Imprese c/o le CCIAA - così come all’INPS) bensì l’occasionalità con cui viene svolta l’attività (occasionalità che è ben definita dalle normative). Questa situazione diffusa (a danno di chi al contrario rispetta tutte le norme) trovava anche una sponda nell’interpretazione impropria della Legge 349/93 e spesso, erano proprio le CCIAA a rifiutare le richieste di iscrizione se non come Imprenditori Agricoli ed in possesso di Autorizzazione Sanitaria (vedasi anche le specifiche dei nuovi Ateco 1 aprile 2025 in tema di Allevamenti Cinofili).
Una interpretazione impropria, visto che la 349/93 pur denominata Norme in materia di attività Cinotecnica, stabiliva esclusivamente che se possedevi un insieme di requisiti ed avevi più di 5 fattrici e producevi più di 30 cuccioli, avevi il diritto di essere considerato Imprenditore Agricolo – avendo stabilito che l’Attività Cinotecnica rientra nell’Agricoltura, dando per assunto che chiunque produce cuccioli di fatto è comunque un Allevatore ma non necessariamente un Imprenditore Agricolo.
Stessa anomalia che si riscontra all’ Art. 1 lettera c) dell’Accordo Stato Regioni sul benessere degli animali da compagnia e pet-therapy del 6 febbraio 2003 che, utilizzando gli stessi parametri numerici, stabilisce che tali allevamenti sono a fini commerciali e di conseguenza esclude dai fini commerciali tutti coloro che stanno al di sotto di quei parametri, generando confusione, illegalità, elusione fiscale e tributaria e cosa più grave, diffondendo una convinzione che oggi è davvero difficile da estirpare ma che è fortemente attenzionata dalle Autorità di Polizia Tributaria.
Possiamo quindi riassumere, senza paura di smentita, che si è sviluppato un settore “malato” che seppur apparentemente “favorito” ha di fatto messo a rischio migliaia di Allevatori e creato una contrapposizione enorme tra gli stessi operatori del settore, favorendo anche il traffico illegale di cuccioli e le vendite online di dubbia provenienza.
La proposta della nostra Associazione, parte proprio dalla consapevolezza di quanto abbiamo riassunto, e quindi dal “peccato originario”:
La 349/93 è una legge calata ad hoc per risolvere il problema di alcuni Allevatori alla fine degli anni 80 (razze da caccia) e appoggiata dall’ENCI. Trovata nella norma la soluzione a quei problemi non ci si è più preoccupati di cosa fosse realmente necessario per il settore e tanto meno lo si è fatto negli anni successivi.
Aver approfittato del Codice civile per assimilare i Cani al Bestiame ha prodotto i problemi che tutti noi conosciamo, primo fra tutti l’essere assimilati agli animali da reddito e di conseguenza rientrare nella rigidità delle norme sull'Industria insalubre.
Infatti, l’attività Allevatoriale, non solo è ancora legata ad un Accordo Stato regioni del 2003 - che in quanto a benessere animale è molto discutibile – ma prevede modelli detentivi e statici (smentiti da tutte le attuali evidenze scientifiche e dai più moderni studi sul benessere animale), ed è il risultato dell’attenzione prioritaria ad elementi di igiene e salute pubblica dovuti all’assurdità di classificare “Automaticamente” gli allevamenti di cani al pari di quelli da reddito e regolamentarli sulla base del Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265 il testo unico delle leggi sanitarie, dimostrando una visione burocratica cieca ed una inerzia rispetto al cambiamento legislativo.
La prima delle nostre battaglie è rivolta contro l’automatismo dell’industria insalubre richiamando l’attenzione anche ai modelli adottati nel resto dei Paesi Europei dove le stesse preoccupazioni sono però affrontate oggettivamente e caso per caso.
Tanto è urgente in quanto l'intero quadro normativo Europeo si preoccupa proprio del contenimento sanitario attraverso una rigida ma trasparente tracciabilità degli animali che non lascerà più spazio a quelle soluzioni "allegre" utilizzate fino ad oggi.
Se vuoi collaborare alla raccolta, incolla questo codice HTML nel tuo sito web |
<div class="gfm-embed" data-url="https://www.gofundme.com/f/a-favore-della-vita-dei-nostri-cani/widget/large?sharesheet=undefined&attribution_id=sl:735b00b1-1853-4b81-a1a0-05ee7736406d"></div><script defer src="https://www.gofundme.com/static/js/embed.js"></script> |
In questo scenario è evidente che manca un intervento Normativo Quadro che deve essere emanato dal MASAF (ed è grave averlo lasciato in mano al Ministero della Sanità) e che deve coinvolgere tutte le parti in causa evitando che un settore importante come quello dell’allevamento del cane di razza (ma anche degli animali da compagnia), patrimonio italiano nel Mondo, subisca il peso delle norme nazionali obsolete e si scontri con la Ratio del futuro Regolamento Europeo, ponendo l’allevamento italiano in grande difficoltà rispetto ai Competitors degli altri Paesi Membri.
Bisogna aprire velocemente un Tavolo tecnico in cui coinvolgere le reali competenze allevatoriali (cani e gatti). Non è più il momento di parlare al chiuso delle stanze con soggetti che non sono sul campo quotidianamente o con funzionari che non hanno mai messo piede in un Allevamento ma che rivendicano e difendono solo il proprio ruolo. Così come il ruolo di Stakeholder non riteniamo possa essere delegato al nostro Ente di riferimento (ENCI) in quanto esistono tutte le ragioni oggettive che ne inficiano l’autorità rappresentativa del settore essendo parte operativa del Masaf.
Allo stesso tempo chiediamo che il Regolamento SINAC vada immediatamente portato a termine e che sulla base dell’esperienza precedente venga condiviso con i portatori di interesse e costruito su competenze e visioni reali e non di parte e che ponga seriamente l’accento sulla classificazione degli Allevamenti in quanto riteniamo che non sia materia del Ministero della Sanità. Inoltre, la deroga concessa agli allevamenti iscritti ai Libri genealogici è semplicemente una “pezza” messa lì per risolvere l’emergenza ma non i problemi. Tale deroga, infatti, non potrà essere sostenuta dopo l’emanazione del Regolamento Europeo e quindi bisogna avere la consapevolezza che c’è da lavorare sinergicamente senza cercare di rivendicare posizioni di potere che nessuno intende scalfire e che non sono legittimate da nessuna norma.
Nel frattempo, una cosa importante l’abbiamo già portata a casa e riguarda per l’appunto l’errata interpretazione delle CCIAA rispetto al codice ATECO 01.49.99 – Allevamento di altri animali.
L’ISTAT – Comitato Ateco, a seguito di una nostra istanza ha chiarito che:
“Le attività di allevamento canino a fini commerciali sono classificate nel codice ATECO 2025 01.48.99 Allevamento di altri animali vari n.c.a. La collocazione in tale codice è confermata da una specifica nota di inclusione presente in NACE Rev. 2.1 relativa proprio alle attività di allevamento e riproduzione di cani.
Ribadiamo che dal punto di vista statistico tale codice è applicabile indipendentemente dalla qualifica di imprenditore agricolo.”
Attualmente l’associazione è impegnata concretamente nel confronto con alcune Regioni che hanno già avviato processi di revisione delle proprie normative sul Benessere degli animali da compagnia e con altre che si sono dichiarate disponibili ad una collaborazione concreta per la definizione di una normativa attuale ed in linea con le esigenze reali.
Tra queste il Piemonte (in procinto di emanare il Manuale Operativo relativo alla L.R. 16/2024) – il Lazio – la Toscana.
Inoltre, ci occuperemo anche di campagne informative e formative volte a costruire nell’utenza quella cultura cinofila che è la base principale per una relazione consapevole tra famiglie ed allevatori, così come saremo molto fermi contro il fenomeno del traffico illegale di cuccioli.
In pochi mesi di vita, l’associazione ha già intrapreso un percorso di confronto istituzionale e di lavoro concreto a favore di un settore che era fermo da oltre 20 anni e che nessuno aveva davvero rappresentato.
La nostra azione sarà tenace e reclama il diritto di essere partecipi laddove si mette mano al nostro lavoro e al nostro futuro. Non intendiamo delegare altri e riteniamo di essere i legittimi portatori di interessi e soprattutto di conoscenza e competenza, scevri da qualsiasi altro obiettivo se non quello di poter svolgere serenamente il nostro lavoro e di prenderci cura delle razze che amando alleviamo.