Riflessioni sulla cinotecnica e l’allevamento


Introduzione

 

Se domani sparissero tutti i titoli, le medaglie e i certificati, quanti allevatori continuerebbero a sentirsi competenti?

 

È una domanda scomoda, ma necessaria. Perché nel mondo dell’allevamento cinofilo, troppo spesso il valore di un professionista viene confuso con il numero di riconoscimenti ottenuti, e non con la qualità reale del lavoro svolto. Questo articolo nasce per rimettere al centro la cinotecnica – quella vera, fatta di studio, selezione, etica e responsabilità – e per invitare gli allevatori a riflettere sul senso profondo del loro mestiere.

 

Cinotecnica: il cuore dell’allevamento

 

Allevare non significa solo produrre cuccioli con pedigree. Significa selezionare, studiare, migliorare, garantire salute, equilibrio, funzionalità. Significa applicare la cinotecnica, cioè quella disciplina che si occupa della genetica, della morfologia, del comportamento, della prevenzione delle patologie ereditarie, della compatibilità tra soggetti.

 

La cinotecnica è il mestiere dell’allevatore. È ciò che distingue un professionista da un riproduttore seriale. Eppure, troppo spesso viene confusa con l’ottenimento di titoli, certificati, riconoscimenti ufficiali. Come se il valore di un cane – e di chi lo ha selezionato – si misurasse in medaglie.

 

Il titolo: soddisfazione dell’ego o garanzia reale?

 

Non c’è nulla di sbagliato nel partecipare a esposizioni, ottenere certificati, ambire a riconoscimenti. Ma è fondamentale chiedersi: a chi servono davvero? Nella maggior parte dei casi, il titolo è una gratificazione personale, una conferma interna, un simbolo di appartenenza. Ha un valore emotivo, ma un’incidenza minima sul mercato reale.

 

La stragrande maggioranza degli acquirenti – famiglie, persone comuni, amanti del cane – non cerca un campione. Cerca un compagno sano, equilibrato, affidabile. Vuole sapere che il cucciolo non svilupperà displasia, che non erediterà patologie genetiche, che sarà gestibile, che riceverà supporto anche dopo l’acquisto. Vuole fidarsi dell’allevatore, non del trofeo.

 

Il rischio della subordinazione ideologica

 

Quando l’allevatore si identifica esclusivamente con il sistema ENCI, rischia di delegare la propria identità professionale a un ente che ha finalità diverse. L’ENCI tutela la razza, il pedigree, la cinofilia ufficiale. Ma non può rappresentare da solo la cinotecnica, né dettare le regole dell’allevamento etico e responsabile.

 

La cinotecnica è una disciplina autonoma, che vive di studio, aggiornamento, confronto. È possibile – e auspicabile – che l’allevatore sia formato, competente, riconosciuto. Ma questo non deve tradursi in una dipendenza ideologica, dove il titolo diventa l’unico metro di valore, e tutto ciò che è fuori dal circuito ufficiale viene ignorato o sminuito.

 

Etica, selezione, post vendita: i veri valori distintivi

 

Nel mercato reale, ciò che distingue un allevatore non è il numero di campioni prodotti, ma la qualità del lavoro. E questa si misura in:

Etica: rispetto per il benessere animale, trasparenza, responsabilità.

 

Selezione: accoppiamenti mirati, test genetici, prevenzione delle patologie.

 

Post vendita: supporto, disponibilità, garanzia di continuità.

 

Questi sono i valori che costruiscono fiducia, che generano passaparola positivo, che creano reputazione. E sono anche i valori che rendono l’allevamento una professione dignitosa, utile, rispettata.

 

Conclusione: ritrovare il senso dell’allevare

 

Essere allevatori significa essere tecnici, custodi, innovatori. Significa avere il coraggio di pensare con la propria testa, di formarsi oltre i confini istituzionali, di mettere al centro il cane e non il titolo. L’ENCI può essere un interlocutore, un riferimento, un supporto. Ma non può essere il padrone della cinotecnica, né il garante unico della qualità.

 

È tempo che gli allevatori si riapproprino della propria identità professionale, che distinguano tra riconoscimento formale e valore reale, che costruiscano un modello di allevamento basato su competenza, etica e responsabilità. Perché il futuro del cane di razza dipende da chi lo alleva. E da come lo fa.


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Commenti: 3
  • #1

    Concetta (domenica, 10 agosto 2025 14:47)

    Quello che aspettavo che qualcuno esprimesse e scrivesse già da tempo! �

  • #2

    Cristina (domenica, 10 agosto 2025 17:30)

    Sono parzialmente d'accordo anche se mi è assolutamente chiaro il concetto che hai espresso. Il valore di un allevatore non si misura solo alle expo tanto quanto un vero allevatore porta il suo lavoro alle expo. Ci sono Allevatori che per un colpo di culo hanno vinto titoli prestigiosi , ma una rondine non fa primavera, ci vuole continuità anche nel titolare i cani. Tanti cani, tanti titoli fanno di un allevatore un allevatore conosciuto e famoso. Non sono i titoli o le coccarde che laureano un allevatore a buon allevatore ma semplicemente certificano che i cani sono attinenti allo standard e che morfologicamente si e' fatto un serio lavoro . Il buon allevatore deve avere anche altro.

  • #3

    Andrea (lunedì, 11 agosto 2025 22:30)

    Un allevatore non può e non deve basarsi su coccarde o titoli. Questo dovrebbe essere chiaro ad un buon allevatore.
    Un allevatore ha a che fare con delle VITE.
    Con futuri compagni di vita di una nuova famiglia.
    Con nuovi proprietari che avranno bisogno di accompagnamento e sostegno.

    Non sono contrario alle coccarde.
    È giusto muoversi anche in questo nostro mondo cinofilo italiano secondo me.
    Aiuta sicuramente ad avere una conoscenza globale più chiara.